Mi ricordo benissimo quel pomeriggio.
Come tanti altri giorni, ero andata a prendere mio figlio alla scuola materna ma la sua espressione non era quella di sempre e cioè un po’ assonnata per la poca nanna concessa dall’educazione piemontese.
Qualcosa non andava. É caduto in giardino, mi ha detto la maestra.
Eravamo abituati, le cadute erano all’ordine del giorno in quel periodo. Ma i pantaloncini corti non avevano protetto il ginocchio. Nella ferita si era incastonate alcune pietruzze del brecciolino del parco. Va bene, non importa, ora provvediamo.
Prima regola dell’essere mamma: fingere di avere tutto sotto controllo. Che poi era una piccola cosa e io ho fatto volontariato in Pronto Soccorso dai sedici ai diciotto anni (a volte penso che sia lì la mia sliding door, che in quelle sale verdi con l’odore di disinfettante nelle narici ho deciso che nella vita avrei raccontato, che non avrei mai potuto tenere dentro tutto quello che ho visto).
So bendare articolazioni, fare punture, anche il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca (che non servano mai).
Ma la carne viva di tuo figlio è diversa ed è per questo che ne scrivo qui.
Perché è carne viva anche tanta della materia che scriviamo nelle nostre storie e non sempre è facile maneggiarla.
Lasciatemi raccontare com’è andata.
Vado in farmacia, ho pensato. Il farmacista è gentile, mi conosce, ha figli, mi aiuterà. Invece Damiano guarda il ginocchio di mio figlio e dice: Non posso intervenire, ma posso darti tutto quello che occorre. Garze, acqua ossigenata, pinzette.
No, figurati, ne ho a casa, grazie.
E, una volta a casa, mi armo del necessario. Faccio sedere mio figlio sul tavolo. E lo guardo, occhi negli occhi, come facciamo noi.
Non sarà piacevole, dico. Lui annuisce, senza dire niente. Fa così ogni tanto: sembra un’anima millenaria in un corpo piccolo.
Lavoro di ago e pinzetta, scavo, estraggo tutte le pietruzze, lui resiste. Fasciamo, è andata. Merenda.
Ci sono state altre volte non piacevoli, peggiori di questa. Ma di tutte, abbiamo conservato i sassetti. In senso figurato, intendo. Abbiamo imparato a fidarci l’uno dell’altro, sappiamo che ognuno farà la sua parte, sempre, che supereremo un’altra prova. Che poi c’è la merenda.
E arrivo alla bizzarra conclusione di questo aneddoto: nessuno toglierà il brecciolino dal ginocchio al tuo posto, ma i sassetti sono la tua forza, restano a te. E con loro il senso di chi sei e cosa vuoi raccontare.
Queste righe le ho scritte per chi mi chiede se penso che l’AI toglierà il lavoro a me o ad altre e altri che si occupano di narrazione.
Ecco, io penso questo: che nessuna intelligenza artificiale ha sassetti nel suo passato,
nessuna intelligenza artificiale potrà mai raccontare la tua storia né l’odore di disinfettante di certe stanze verdi.
Mi chiamo Sara Benedetti.
Questo è il mio blog.
Questo è il mio viaggio tra le storie.
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